La Corte costituzionale torna sul fine vita: non è irragionevole la punibilità della condotta di aiuto al suicidio medicalmente assistito, ai sensi dell’art.580 cod. pen., qualora offerto a persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale – 28 maggio 2025
28 Maggio 2025
Corte Costituzionale, 20 maggio 2025, n. 66/2025
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di aiuto al suicidio medicalmente assistito offerto a persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, seppur affetta da una patologia irreversibile, accertata con “prognosi infausta a breve termine” e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili. E ciò pur se la persona abbia manifestato la decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita.
Secondo la Consulta, non sussiste la lamentata disparità di trattamento, fondata sull’art. 3 Cost. e sugli artt. 8 e 14 CEDU, tra il paziente che abbia legalmente accesso al suicidio assistito e quello che – nelle condizioni prima descritte – abbia rifiutato i trattamenti sanitari, salvo che si tratti di trattamenti necessari ad assicurare l’espletamento delle funzioni vitali.
Richiamando integralmente le ragioni poste a base della sentenza n. 135 del 2024, la Corte sostiene che in assenza di un trattamento di sostegno vitale il paziente non si trova ancora nella condizione di poter optare per la propria morte sulla base della legge n. 219 del 2017; e pertanto la sua situazione non è assimilabile a quella di un paziente la cui vita dipenda, ormai, dal trattamento in questione; il che rende costituzionalmente non censurabile, al metro dell’art. 3 Cost., la diversa disciplina prevista per le due ipotesi.
Non sussiste, inoltre, la lesione del diritto all’autodeterminazione, fondato sugli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., in quanto il margine di discrezionalità riconosciuto al legislatore, nel bilanciamento tra il dovere di tutela della vita umana e il principio dell’autonomia del paziente nelle decisioni che coinvolgono il proprio corpo, rende costituzionalmente non obbligata la scelta di consentire l’accesso al suicidio assistito a pazienti affetti da patologie irreversibili che cagionino loro sofferenze intollerabili, ma le cui funzioni vitali non dipendano da trattamenti di sostegno vitale. Una diversa soluzione, come già argomentato nella sentenza n. 135 del 2024, renderebbe attuali il rischio di abusi a danno delle persone deboli e vulnerabili, il rischio che la richiesta di accesso al suicidio assistito costituisca una scelta non sufficientemente meditata, e quello di assecondare derive sociali o culturali che inducano le persone malate a scelte suicide, quando invece ben potrebbero trovare ragioni per continuare a vivere.
Infine, richiamando, la sentenza n. 242 del 2019, la Corte ha rilevato come assuma grande importanza in tale contesto che il servizio pubblico garantisca adeguate forme di sostegno sociale, di assistenza sanitaria e sociosanitaria domiciliare continuativa, perché la presenza o meno di queste forme di assistenza condiziona le scelte della persona malata e può costituire lo spartiacque tra la scelta di vita e la richiesta di morte.
Non manca infine l’auspicio, già formulato in tutte le pronunce richiamate, che il legislatore e il Servizio sanitario nazionale intervengano prontamente ad assicurare concreta e puntuale attuazione a quanto stabilito dalla sentenza n.242 del 2019, ferma restando la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina nel rispetto delle esigenze richiamate ancora una volta dalla presente pronuncia.